
Al di là il principio del piacere è forse il testo più contorto e più inquieto di Freud. Un libro-labirinto in cui l’Autore stesso ammette di procedere zoppicando. A creargli difficoltà è un problema inafferrabile: un mostro bifronte, una sorta di Minotauro che ha il corpo della pulsione sessuale e il volto della pulsione di morte. Due concetti che Freud stesso fatica a mettere a fuoco e a collocare entro un quadro coerente. Inallocabile, la pulsione si trova al fondo del soggetto ma non è niente di soggettivo. È piuttosto un ritmo, una vibrazione, una pulsazione acefala: impossibile da tener ferma, essa scombina ogni finalismo, ogni concezione funzionalista o biologista dell’essere umano. Il quale pare piuttosto concepibile solo in termini di ritmo.
È a partire da questa problematica inallocabilità della pulsione che il ciclo di Letture prova a far luce sul labirinto di Al di là del principio di piacere, leggendolo in relazione a uno degli ultimi scritti freudiani, Costruzioni in analisi. Qui infatti il problema apparentemente tecnico della «costruzione in analisi», ossia del lavoro di interpretazione dei sintomi che l’analista svolge assieme al paziente, sembra assimilabile a una composizione musicale. Come se la decostruzione e ricostruzione del soggetto in ambito clinico fosse un problema di ritmo. Non vi è insomma possibilità di costruire nulla, sembra suggerire Freud, senza mousiké.